IL PARTO E LO STATO ALTERATO DELLA MENTE

Cosa succede alla mente della donna durante la gravidanza e il parto? Cosa accade veramente da un punto di vista ormonale e di onde cerebrali? E nel concreto, cosa comportano e a cosa servono questi cambiamenti durante la delicata fase della gravidanza, ma soprattutto del parto?

Quando si parla di preparazione al parto ci si riferisce tipicamente al corso preparto, condotto da un’ostetrica. Il corso è principalmente informativo e spiega cosa accadrà fisicamente, come riconoscere l’inizio del travaglio, quando è il momento di recarsi in ospedale. A volte ci sono incontri incentrati su esercizi per la consapevolezza delle parti del corpo coinvolte nel parto. Le altre informazioni riguardano l’allattamento, le prime cure al neonato e tutto ciò che ha a che fare con il dopo parto.
Insomma un’ondata di informazioni, come se ti spiegassero in dieci incontri teorici come pilotare un jet e poi ti trovassi a pilotarlo da solo in una tempesta o al massimo con una voce nelle cuffie che ti dice cosa fare.
Tra l’altro a partorire non è un corpo fisico né l’essenza della razionalità, bensì una donna, una persona con il suo carattere e la sua storia personale. Una persona che si trova a vivere un’esperienza estrema per il suo corpo, ma anche per la sua mente.
L’esperienza del parto è generalmente fuori dai confini dell’io di una persona.
Per confini dell’io intendo tutto ciò che una persona può e si permette di contattare: ad esempio per qualcuno può essere impensabile girare nudo per strada, non perché sia un fatto impossibile fisicamente ma perché non rientra in ciò che lui si permette di fare ed essere. Per questa persona girare nuda per strada è fuori dal confine dell’io.
La mamma durante il travaglio e il parto deve entrare in contatto con il proprio dolore fisico, con il proprio corpo che prende il sopravvento e partorisce. Stiamo parlando di un corpo completamente disinibito, animale: questo difficilmente fa parte della propria identità (perlomeno in questa società). Per qualcuno può essere molto lontano dalla propria identità, dal confine che ha fissato per se stesso; per qualcun altro può essere a portata di mano.
Il punto è che quando ci si avvicina alla linea di demarcazione dei propri confini dell’io nasce la paura: paura di uscire dal confine conosciuto, paura di perdere la propria identità, paura di diventare pazzi.
In realtà non si diventa pazzi partorendo e nemmeno correndo nudi per strada, ma questa è la paura che nasce.
Già durante la gravidanza la donna si è allenata ad allargare gradualmente i suoi confini, ad uscire da ciò che le era noto in precedenza; ma durante il parto l’allargamento dei confini è repentino.
Cosa accade esattamente alla mente durante il parto?
Per spiegarlo bisogna partire dal dolore.
Il dolore del parto non è un dolore continuo: le contrazioni si intervallano a momenti di rilassamento e questa intermittenza del dolore permette la produzione a picco di adrenalina che a sua volta stimola la produzione di endorfine e ossitocina.
Se da un lato le endorfine hanno un effetto analgesico, dall’altro inducono uno stato alterato di coscienza: la razionalità viene inibita e si entra in una sorta di stato di trance.
Quindi l’esperienza del parto non è soltanto quella di un corpo che si dilata dolorosamente, ma anche una razionalità che si spegne (non preoccupatevi: solo temporaneamente!!).
Per questo oltre alla paura del dolore e di ciò che accade al corpo, si aggiunge la p11875470_1616865105247372_1999860282_naura di perdere il controllo, di andare oltre la propria razionalità. Quando questo accade, il dolore non si percepisce più perché si è entrati in trance.
Parlando di onde cerebrali, già durante la gravidanza si assiste ad un cambiamento: le onde cerebrali della mamma diventano più lente inducendo uno stato di rilassamento profondo. Durante il parto, a causa dei picchi di dolore e la conseguente scarica intermittente di adrenalina, si attivano le onde cerebrali theta che sono quelle degli stati ipnotici.
Per quale motivo il parto spinge verso questa direzione?
Cosa c’è oltre i propri confini, oltre la propria razionalità?
C’è quella che in Psicoterapia della Gestalt viene chiamata saggezza organismica, ciò che permette all’organismo di autoregolarsi, in questo caso la naturale capacità della mamma di partorire. Inoltre, il dolore è irrilevante quando si è raggiunto lo stato ipnotico. Il dolore invece persiste se la mamma non si lascia andare e non permette alla razionalità di spegnersi temporaneamente, cioè se la mamma combatte contro il naturale processo del parto.
In questa società dove viene insegnato fin da piccoli il valore del controllo e della razionalità, mi viene da pensare che sia più terrificante la perdita di controllo e l’irrazionalità che non il dolore fisico in sé.
Fare un viaggio oltre i confini dell’io in maniera brusca come può accadere durante il parto è un’esperienza molto forte e può essere traumatica. È possibile che la depressione post-parto sia dovuta all’impossibilità della donna di integrare l’esperienza del parto entro i propri confini dell’io.
Per questo motivo, è essenziale che durante i corsi pre-parto venga preso in considerazione questo risvolto di parto come viaggio in uno stato alterato di coscienza, come viaggio oltre i confini del proprio io. In primis perché ritrovarsi a perdere il controllo senza sapere che è una buona cosa per l’esito del parto, è senz’altro spaventoso.
In ogni caso, sapere non è cambiare: l’informazione non è sufficiente e la preparazione al parto ha bisogno di essere integrata con una preparazione ad andare oltre i propri confini, o perlomeno a rendere questi più flessibili. Infatti non è sufficiente voler perdere il controllo, voler spegnere la propria razionalità per farlo veramente: se è vero che oltre la propria struttura caratteriale troviamo la saggezza organismica, è anche vero che il carattere non cede facilmente il passo, ma può essere allenato.
La paura è controproducente nel parto perché non permette un totale abbandono, fisico e mentale. Allenare la mente ad allargare i propri confini, ad abbandonarsi al non controllo razionale è sicuramente un ottimo modo per diminuire la paura: se hai già pilotato un jet in precedenza, sarai certo più tranquillo.
Come in terapia, anche in questa esperienza è fondamentale il ruolo di chi segue il travaglio e il parto: in quest’ottica chi entra in sala parto come accompagnatore o chi lo fa di lavoro si trova davanti ad un’esperienza non medica, ma umana ed esistenziale. Per questo motivo è fondamentale che la persona che accompagna durante il parto sia in grado di stare in contatto con la partoriente e con se stessa, sia in grado di reggere il duro compito di essere soltanto un’osservatrice che lascia fare alla mamma quello che si sente. Usando termini gestaltici, sia capace di stare sullo sfondo ed essere di supporto, ma non protagonista. Insomma sia una persona che abbia fiducia in primis nella facoltà insita nella donna di partorire e soprattutto che sia davvero presente, in contatto.
La formazione di chi è presente in sala parto, ad esempio delle ostetriche, andrebbe arricchita con esperienze di conoscenza di sé e di contatto. Allo stesso modo la persona che entrerà in sala parto come accompagnatore (il compagno o chi la partoriente ha scelto) dovrebbe avere un’idea di quello che accade alla partoriente non soltanto fisicamente, ma anche in termini di trasformazione e stato mentale.

Dr.ssa Violetta Molteni

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