IL METODO

Alcuni concetti chiave della Psicoterapia della Gestalt:

RESPONSABILITÀ:Web 1
Respons-abilità significa, appunto, capacità di rispondere. In questo senso, ognuno ha la capacità e possibilità di scegliere per sé, di prendersi cura di sé e dei propri bisogni e di uscire dalla passività e attesa. L’approccio gestaltico aiuta la persona a ritrovare la responsabilità di se stessi, che significa tornare a vivere la vita in prima persona , essere protagonisti e sviluppare la capacità di rispondere diversamente ed in modo creativo a situazioni che creano disagio.

AUTOREGOLAZIONE ORGANISMICA E SINTOMO:
L’autoregolazione organismica è la capacità di adattarsi alle situazioni che di volta in volta si presentano. Quando questo processo naturale si inceppa,Web 2 si sviluppano i sintomi.
Il sintomo è la migliore risposta che quel determinato organismo ha potuto trovare in quel momento.
In parole semplici una persona sente, pensa e agisce per soddisfare i propri bisogni.
In Gestalt si parla di Ciclo del Contatto.
Facciamo un esempio pratico:
La persona sente sete-> sceglie di bere un succo di frutta-> decide di prenderlo dall’armadio-> beve-> non sente più sete
Se per qualche motivo in ciclo del contatto non si chiude (si parla di Gestalt inconcluse), ad esempio la persona che ha sete si trova dispersa nel deserto, si sviluppa un sintomo, in questo caso probabilmente un sintomo fisico che aiuta il corpo a sopravvivere (ad esempio trattenendo i liquidi) nonostante il bisogno non sia stato soddisfatto. Quindi il sintomo serve a salvaguardare la persona in quel contesto estremo.
Il processo di autoregolazione organismica continua a portare in figura queste Gestalt inconcluse, ossia in questo caso il bisogno di bere, finché questo non sarà soddisfatto.
Ho fatto l’esempio di una sensazione fisica (la sete), ma la stessa cosa accade con i bisogni relazionali ed emotivi.

LE EMOZIONI E IL CONTATTO:
Quante volte sentiamo dire “è inutile essere tristi” “non serve avere paura” “non c’è bisogno di arrabbiarsi così”? In realtà le emozioni sono tutt’altro che inutili: sono proprio loro che garantiscono la sopravvivenza dell’essere umano e la continuità della specie. Un compito così importante non può certo essere controllato con la forza di volontà, anche se fin da bambini ci insegnano a reprimere le emozioni. Quello che realmente accade è che impariamo a nasconderle, a fingere che non ci siano. In altre parole, non cambiamo, controlliamo o eliminiamo un’emozione, ma togliamo il contatto da questa.Web 3
Ma qual è il fine di un’emozione?
La parola “emozione” deriva dal verbo latino “moveo” che significa muovere (il prefisso “e-” significa “da”, quindi muovere da). Le emozioni preparano all’azione.
Prendiamo come esempio la rabbia: fisiologicamente provoca dei cambiamenti quali l’aumento del battito cardiaco e una scarica di ormoni fra cui l’adrenalina che permettono di avere a disposizione una buona dose di energia. L’obiettivo può essere quello di difendersi da un aggressore, ma anche più semplicemente quello di superare un ostacolo o raggiungere l’obiettivo.
Togliere il contatto da un’emozione implica perdere un’opportunità: se ad esempio ho paura dell’acqua e non ascolto la mia paura, corro il rischio di annegare. Se invece ascolto la mia paura posso iscrivermi ad un corso di nuoto, oppure posso chiedere ad un nuotatore esperto di accompagnarmi le prime volte che entro in acqua oppure ancora decidere che posso stare semplicemente fuori dall’acqua.
L’espressione del proprio stato interno, quindi il mostrare la propria emozione o esplicitarla a parole è il presupposto fondamentale della regolazione delle relazioni umane. Se ad esempio esprimo paura per l’acqua, un amico potrebbe evitare di farmi lo scherzo di lanciarmi in piscina oppure anche potrebbe offrirsi per accompagnarmi a piccoli passi. D’altro canto se esprimo paura per un’onda anomala, offro l’opportunità al mio amico, che non l’aveva vista, di mettersi in salvo.
Quando l’espressione viene inibita, l’emozione si accumula e può perdere il legame con l’oggetto che l’aveva generata e diventare pervasiva. Se ad esempio sono arrabbiata con un collega e non esprimo la mia rabbia, ma la tengo nascosta per giorni e giorni, probabilmente inizierò ad essere sempre di pessimo umore non soltanto sul luogo di lavoro, ma anche a casa e con persone diverse. Oppure la rabbia potrebbe esplodere per piccoli dettagli che diversamente non suscitano in me rabbia. Inoltre perdo l’occasione di dare la possibilità al mio collega di comportarsi diversamente: è possibile infatti che non sappia che sono arrabbiata con lui, oppure che l’abbia percepito ma non sappia in riferimento a quale fatto mi sono arrabbiata.

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