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Violetta Molteni

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Sindrome da Burnout

4 Febbraio 20214 Febbraio 2021

Cos’è la Sindrome da Burnout?

Ho deciso di scrivere questo articolo sulla Sindrome da burnout, perché nonostante sia un concetto ormai conosciuto ed entrato nel linguaggio comune, in realtà pochi sanno quali sono i segnali che caratterizzano il burnout.

Spesso, proprio a causa della mancata conoscenza dei primi segni, ci si rende conto di essersi “bruciati” quando ormai è troppo tardi.

Infatti burnout non significa soltanto “bruciato” (che in inglese si traduce con “burnt”).

Burn-out significa “bruciato del tutto”, non rimane altro materiale da bruciare.

Per definizione, la sindrome da burnout può riferirsi esclusivamente alla sfera professionale, non alla sfera privata.

Inizialmente era associata alle professioni di aiuto, cioè quelle professioni in cui ci si prende cura dell’altro (medici, infermieri, psicologi, operatori sociali).

In seguito è stata estesa a tutte le professioni che hanno a che fare con le persone, anche se le professioni d’aiuto restano le più colpite.

Come riconoscere i sintomi da Burnout?

l’ICD-11 descrive la Sindrome da Burnout attraverso tre criteri:

  • sentimenti di esaurimento o esaurimento energetico (che in parole povere significa sentire di non avere più energie, sentirsi stanchi nel senso ampio del termine)
  • essere di staccati, cinici e negativi nei confronti del proprio lavoro
  • essere meno efficaci in ambito professionale (“efficacia” secondo il vocabolario Treccani significa produrre pienamente l’effetto richiesto o desiderato, cioè fare quello che si intende fare)

Non stiamo parlando quindi di sintomi eclatanti come insonnia persistente, attacchi di panico o sintomi somatici, anche se questi sintomi in alcuni casi possono comparire.

Parliamo di cose apparentemente normali come sentirsi stanchi, essere cinici, non essere coinvolti dal proprio lavoro.

In termini pratici si può evidenziare attraverso alcuni atteggiamenti come non aver voglia di andare a lavorare, essere freddi o comunque avere difficoltà relazionali con i colleghi o gli utenti, essere insofferenti per i turni di lavoro, essere nervosi, avere difficoltà di concentrazione e di memoria.

Quali possono essere le conseguenze della Sindrome da Burnout?

La Sindrome da Burnout si può ripercuote in ambito privato e famigliare. Una persona non soddisfatta del proprio lavoro, frustrata ed esaurita porta con se questo stato d’animo anche una volta uscita dal posto di lavoro.

In ambito lavorativo i rischi più grandi riguardano l’utenza: se pensiamo che questa sindrome colpisce soprattutto le professioni di cura, capiamo bene quanto è pericoloso. Essere cinici e distaccati quando dobbiamo prenderci cura di una persona che sta male, significa aggiungere dolore ad una persona a cui dovremmo alleviarlo. Una persona che probabilmente non può difendersi o proteggersi.

Quindi cosa fare?

Innanzitutto è fondamentale prendersi il tempo per ascoltarsi.

Prendetevi del tempo per ascoltare le vostre emozioni.

Credete a voi stessi e a ciò che provate senza banalizzare o giudicarvi con frasi come “il solito scansafatiche” o “nessuno ha voglia di andare a lavorare”.

Fermatevi ad ascoltarvi, anziché tentare di tener duro.

Prendetevi uno spazio per fare il punto della situazione al primo calore, senza aspettare di essere burn-out.

Parlatene con i colleghi e con i superiori.

Spesso, infatti, il problema della Sindrome da Burn-out non è una difficoltà del singolo, ma è un problema che coinvolge tutta l’organizzazione lavorativa.

La condivisione può svelare difficoltà o malumori di altri colleghi, permettendo di scoprire di non essere soli.

Allo stesso tempo il confronto è un’occasione per evidenziare le criticità intrinseche del lavoro e ripensare il modo di organizzare e gestire il lavoro.

Ascoltarsi

Aver fiducia in ciò che si prova

Condividere

E avere il coraggio di chiedere aiuto

Non è una colpa provare quello che si prova, fare fatica o arrivare a essere burn-out.

E’ una responsabilità scegliere cosa fare con ciò che si prova.

Domande o dubbi? contattami oppure prenota una visita CONTATTI

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Cos’è la depressione post-parto?

Nel manuale diagnostico di salute mentale 5 (DSM-5), esiste la diagnosi di disturbo depressivo maggiore con esordio nel peripartum.

È una diagnosi che viene posta quando si riscontra la presenza di almeno 5 sintomi contemporaneamente presenti, quasi ogni giorno, per almeno due settimane.

Almeno uno dei sintomi deve essere: umore depresso per la maggior parte del giorno oppure marcata diminuzione di interesse o piacere per tutte o quasi tutte le attività per la maggior parte del giorno. Gli altri sintomi riguardano pensieri e sentimenti negativi, difficoltà a concentrarsi, difficoltà di sonno, agitazione o al contrario rallentamento psicomotorio, perdita di energia e cambiamenti nel peso (non dovuti a diete).

Statisticamente rispondono a questa diagnosi dall’8 al 12% di donne nel dopo parto.

Eppure tutte, o quasi tutte le donne, sperimentano umore depresso nel dopo parto.

È importante distinguere fra una diagnosi di disturbo depressivo maggiore nel peripartum (comunemente chiamata depressione post parto) e un transitorio umore depresso a cui spesso ci riferiamo quando parliamo con un’amica dicendo “sono depressa”.

Depressione è una parola italiana che indica un abbassamento durevole di livello: può essere una depressione atmosferica, depressione morfologica o anche depressione dell’umore.

L’abbassamento del tono dell’umore nel dopo parto è fisiologico

Ciò che viene ultimamente Baby blues avviene inevitabilmente. Vi è infatti un drastico cambiamento ormonale nelle ore successive al parto a cui si aggiunge la stanchezza fisica del travaglio e il dispendio energetico per produrre latte. (ti potrebbe interessare anche La donna dietro alla tetta)

La natura però non sbaglia: il tono dell’umore depresso serve per favorire tutti quei comportamenti che renderanno la ripresa migliore e più rapida. Se fossimo euforiche infatti, andremmo in giro saltellando e ballando spendendo ulteriori energie. Essendo invece più tristi e depresse, stiamo tranquille, magari accoccolate nel letto e questo ci permette di riposare.

È la stessa cosa che succede in inverno o nei giorni di ciclo mestruale: l’umore è basso e siamo portati a rintanarci in casa o sotto le coperte. Nel primo caso perché in natura c’è meno cibo ed è meglio spendere poche energie e proteggersi dal freddo; nel secondo caso perché il ciclo mestruale consuma molte energie ed abbiamo bisogno di recuperare le forze.

Questo significa che il baby blues, non solo è normale, ma è utile

Ci costringe a riposare per recuperare le energie necessarie ad affrontare i nuovi compiti come l’allattamento e l’accudimento del neonato.

Assecondare queste emozioni di ritiro, senza avere l’aspettativa di tornare agili e scattanti subito nei primi giorni è un’ottima strada da percorrere senza timori: torneranno i momenti di festa e frenesia.

Non sto suggerendo di fare da sole e non prendere in considerazione le emozioni negative, in quanto normali. Condividere con le persone a cui si vuole bene, cercare il sostegno degli altri è parte intrinseca delle emozioni che esistono negli esseri umani e altri animali proprio come mezzo di comunicazione.

In questo avete un grande insegnante accanto a voi: il vostro neonato esprime le sue frustrazioni e disagi con il pianto perché questo gli permetterà di ottenere la rassicurazione, il contatto, il calore e il cibo di cui ha bisogno.

Perciò riposatevi, accoccolatevi

ma anche parlate con il vostro compagno, confidatevi con un’amica, chiedete supporto ad un’ostetrica (sia all’ospedale che in consultorio sono disponibili anche se non siete state seguite precedentemente da loro).

Riposarsi e ritirarsi è sano, ma non isolatevi: la solitudine è un grande mostro che spesso fa visita alle neomamme e quello è molto pericoloso.

Voglio anche precisare che il sostegno professionale dello psicologo o psicoterapeuta non è da ricercare solo in casi disperati o quando la depressione è diventata patologica: avere un sostegno vuol dire far meno fatica, godersi di più il momento e prendere scelte consapevoli per non avere rimpianti in futuro.

Buone coccole

Dr.ssa Violetta Molteni

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